Intervista con l’Autore: intervista a Simona Baldelli

1) “Il pozzo delle bambole” è un romanzo che racchiude tante tematiche al suo interno, come sempre avviene nella letteratura di qualità; se lo definiamo “romanzo di formazione” non vogliamo quindi etichettarlo o confinarlo in categorie di genere. La crescita della protagonista a la sua presa di coscienza del mondo ci sembrano tuttavia il leitmotiv del romanzo. Questa scelta è oggi inattuale, ci rimanda ai grandi romanzi ottocenteschi, ma funziona a nostro avviso benissimo e trascina il lettore come un rimorchio, resistendo agli scossoni imposti dalla scelta dei flashback, dalla prima all’ultima pagina. Vuole dirci qualcosa su questa impostazione letteraria?

Io sono una grande appassionata di romanzi dell’ottocento, la mia formazione di lettrice è cominciata lì. La letteratura si è dotata di un’architettura in quel secolo, così come l’introspezione dei personaggi. Cardini sui quali, a mio parere, si fonda la narrativa di ogni tempo: una buona storia, costruita bene, scritta con il linguaggio giusto (non tutte le storie si scrivono con lo stesso linguaggio; un romanzo ambientato ai giorni nostri nella periferia di una grande città, sarà scritto per forza diversamente da uno collocato nella metà degli anni ’50 in una famiglia borghese), abitata da personaggi interessanti, coi quali il lettore si possa identificare.

2) Il romanzo è ambientato nella provincia abruzzese, esattamente a Lanciano. Nell’arco di un trentennio la grande storia giunge in periferia come un sottofondo, un’eco; ma è anche la periferia a farsi centro con la vicenda della rivolta delle tabacchine. La provincia non è solo isolamento, esclusione e passività rispetto agli eventi culminanti, ma occhio che riesce a leggere la storia con maggiore distacco. Ci spiega questa ambientazione a Lanciano (città a cui lei non è legata biograficamente) e la scelta di sviluppare la trama in provincia? 

Il romanzo non poteva che essere ambientato a Lanciano, dal momento che racconto l’occupazione della Manifattura Tabacchi di quella città, nella primavera del ’68. In generale, però, mi piace partire dalle periferie, dai margini. Mi piacciono i personaggi secondari, quelli che apparentemente non hanno il physique du rôle per essere i protagonisti, e invece sono in grado di trasformare la loro vita e quella di chi gli sta attorno. Secondo me, bisogna osservare i fatti da una giusta distanza per vederli bene nella loro completezza.

3) Un altro tema che ci piacerebbe approfondire è quello della genitorialità o, nel caso de “Il pozzo delle bambole”, dell’assenza di genitorialità. Tutto il romanzo ruota attorno all’esigenza di appartenenza e di distacco. Nella protagonista la mancanza di una famiglia da marchio vergognoso si trasforma in spinta alla propria autoaffermazione, alla ricerca di libertà, ad un’affermazione come persona sincera e limpida che pretende di essere accettata nel mondo nella sua autenticità, senza compromessi affettivi. Il personaggio di Nina è profondo e complesso, riesce a farsi paradigma generazionale solo grazie alla grande letteratura che più scava nella particolarità dell’individuo, più riesce a raggiungere le corde dell’universalità.
Ci parli del personaggio Nina e del tema della genitorialità.

Io credo che i libri siano di chi li legge, più che di chi li scrive. Una volta pubblicati sono dei lettori, e dunque a loro appartengono. In un romanzo si cerca, il più delle volte, una risposta a una propria tacita domanda. Questa è un’epoca in cui la genitorialità e la (mancanza di) natalità sono temi molto dibattuti. Poi, certo, il romanzo inizia in un istituto che raccoglie orfani e “trovatelli”, come si diceva un tempo, per cui è facile andare col pensiero in quella direzione e immaginavo che i lettori ci sarebbero andati. Per me il punto focale era un altro. Il mio interesse principale era politico (nel senso della “polis”). Uno degli argomenti più sbandierati da coloro che spingono per un aumento delle nascite (abbiamo persino un ministero che se ne dovrebbe occupare) è: chi paga le pensioni ai vecchi se non nascono più bambini? Posto che non è detto che i nuovi nati ottengano presto un buon lavoro, con una giusta retribuzione, in grado di mantenerli e accantonare contributi per pensionistici per sé e per gli altri, mi chiedo: ma davvero no abbiamo motivi migliori per chiamare qualcuno al mondo? E, una volta arrivato al mondo quel qualcuno, ci importa davvero che ci sia? Cosa fa la società tutta per aiutare quell’individuo a essere felice? Vede, a me non interessava analizzare il lato privato di una nascita, ma la ricaduta, il contributo, che una nuova vita ha su tutti gli altri. Certamente una nascita è una questione famigliare, ma un minuto dopo è già un evento sociale. Nina non ha mai conosciuto i suoi genitori, ma da questa condizione trae l’unico vantaggio che potrebbe averne. Non ha su di sé il peso delle aspettative. Nessuno riversa su di lei proiezioni o frustrazioni. Non ci si aspetta (né la si spinge) a diventare maestra, operaia, astrofisica o campionessa di nuoto. Nina può costruirsi in tutta libertà, con la certezza che non rappresenterà mai una delusione per nessuno.

4) Veniamo alla vicenda della rivolta delle tabacchine, un evento forse unico di sciopero e occupazione di fabbrica nella provincia meridionale e che vede come protagoniste donne lavoratrici. Abbiamo già accennato alla provincia che irrompe al centro. Qui ci piacerebbe riflettere sulla lotta politica senza consapevolezza politica. La spontaneità della rivolta è impregnata, su un livello pratico, di tutte le questioni e le idee di fondo del ’68. Le tabacchine di Lanciano erano sessantottine senza saperlo?

Certamente c’erano i sindacati a formalizzare e coordinare le proteste, ma credo che la loro sia stata una rivolta di necessità, più che ideologica.

5) “Il pozzo delle bambole” affronta anche tematiche femministe. Quello che ci piacerebbe approfondire è il collegamento fra studio e affrancamento. La liberazione delle donne è passata attraverso l’accesso allo studio e alla cultura: Nina deve conoscere più parole per migliorare la sua posizione nel mondo?

Diciamo che la maggior consapevolezza degli individui, e quindi la loro libertà, è passata attraverso l’accesso alla cultura e alle informazioni e, poiché le donne ci hanno messo più tempo ad arrivare a un’alta scolarizzazione, devono fare ancora un po’ di strada. Certo non è stata una loro scelta, ma è un dato di fatto. Solo fino a qualche decennio fa era la norma dire a una ragazza: “che studi a fare? tanto poi ti sposi”.

6) Il romanzo, per lunghi tratti, lascia nel lettore un senso di soffocamento derivante dall’ambientazione in luoghi chiusi: il brefotrofio, la fabbrica, la casa della mamma adottiva di Lucia, il pozzo stesso.
Se l’esposizione è un momento di apertura verso l’esterno per certi versi crudele, la rivolta per le vie di Lanciano appare come una rottura metaforica di tutti gi spazi chiusi e limitanti: un’epifania di presa di coscienza. Possiamo leggere le due grandi ambientazioni del romanzo, brefotrofio e fabbrica, come metafora delle strutture politico-sociali che offuscavano la vita di Nina e di tante altre donne nella seconda metà del Novecento? 

Vale per questa domanda quello che rispondevo poco sopra: i libri sono di chi li legge per cui, se lei ha visto questa metafora, significa che c’è. Io non ci avevo pensato. Ha un senso più pratico che metaforico, ed ha a che fare con quegli insiemi e sottoinsiemi di cui Nina parla ogni tanto. In una società disegnata per insiemi, capita spesso che qualcuno rimanga escluso, fuori dal confine. Questo è un romanzo che parla soprattutto di esclusi ed esclusione. 

7) Nina nel corso del romanzo stringe rapporti affettivi con numerose donne. Le donne sembrano capaci di esprimere una solidarietà fra loro, una specie di mutuo soccorso, riescono a riconoscersi e ad aiutarsi. Possiamo parlare di una specie di “sorellanza”. Questa capacità empatica di genere non è sempre stata una prerogativa delle donne. Oggi nota segnali positivi in questa direzione?

Non lo è stata in passato e tuttora è, purtroppo, meno frequente di quel che si pensi. Però è vero, ci sono confortanti segnali in questa direzione.