I grandi romanzi, i grandi scrittori, forse devono avere una caratteristica principale: quella di essere inattuali. Compaiono sulla scena editoriale come oggetti provenienti dal passato o dal futuro, comunque inintelligibili, non comprensibili dalla contemporaneità, incapaci di galleggiare sul presente. Forse questa incapacità di aderire ai propri tempi, al mainstream contemporaneo, di generare interesse anche per l’analisi del passato e del futuro che fanno, ma da una prospettiva inattuale, con valori invisibili al momento, ne fanno alla lunga una specie di classico, di cult letterario.
In questo articolo vogliamo parlare del romanzo “Stoner” di John Williams, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1965 e tradotto in Italia per la prima volta da Fazi Editore nel 2012.
“Stoner” oggi può definirsi, in Italia e nel mondo un long seller, uno di quei libri consigliatissimi dal passaparola dei lettori, citatissimo e amato da diverse generazioni. La sua vita letteraria e la sua strada verso la notorietà e il successo, è stata, però, particolare e travagliata.
Il suo autore, John Edward Williams (Clarksville, 29 agosto 1922 – Fayetteville, 3 marzo 1994), è stato un romanziere e poeta di discreto successo negli Stati Uniti, vincitore anche di un National Book Award per la narrativa nel 1973 con l’opera “Augustus”, (Viking, 1972), l’unico romanzo tradotto in Italia (Sperling & Kupfer, 1974) con Williams in vita. “Stoner”, il suo terzo romanzo pubblicato sempre dalla Viking Press nel 1965 era passato praticamente inosservato, vendette poche centinaia di copie, finendo presto fuori catalogo e introvabile (anche se una ristampa fu effettuata da una University Press e qualche copia continuò a circolare fra un primo nucleo di estimatori).
Possiamo parlare di un prodotto editoriale che ebbe due vite: la prima breve e finita presto nel dimenticatoio, la seconda, cinquant’anni dopo, caratterizzata da un successo folgorante che portò il romanzo ai vertici delle classifiche di vendita, prima negli Stati Uniti e poi in Europa, ricevendo recensioni lusinghiere dalle testate più famose e pareri favorevoli dai critici più autorevoli. Ma prima di raccontarlo questo caso editoriale, soffermiamoci sul libro, sulla sua trama e sui suoi personaggi, trovando in essi magari anche qualche motivazione per le vicende editoriali.
Il romanzo racconta la vita di William Stoner, un uomo normale, che non raggiunge alcun particolare successo, anzi nel lavoro come nella vita privata, sembra raccogliere sostanzialmente delusioni. A un certo punto della sua vita, constatati questi fallimenti, si rifugia nella letteratura come unica ancora di salvezza. Nato in una famiglia povera del Missouri alla fine del XIX secolo, viene indirizzato dal padre verso studi di Agronomia alla University of Missouri.
L’incontro con un sonetto di Shakespeare cambierà la sua vita, virerà i suoi studi verso la letteratura e inclinerà per sempre i rapporti con i suoi genitori e il suo paese dove non farà mai ritorno. Laureatosi, inizia l’insegnamento nella stessa Università. Rifiuta di arruolarsi nella Prima Guerra Mondiale, guadagnandosi l’ostilità dei colleghi. Finita la guerra incontra una ragazza Edith, di estrazione sociale superiore alla sua, ma che appare al lettore subito arida di sentimenti. Stoner prova comunque un confuso sentimento per lei, le dona affetto nella speranza di essere ricambiato. Il matrimonio si rivela subito un disastro. Edith è spesso depressa o sofferente di non specificate malattie. Non mostra sensibilità ma egoismo. Il sesso diventa un freddo dovere, e Stoner comincia anche lui a chiudersi entro se stesso. La nascita della figlia Grace non migliora le cose. Edith anzi, gelosa dell’amore di Stoner per la figlia, comincia una deliberata strategia per allontanarli e Stoner, pur conscio dell’operazione, non fa nulla per opporsi. Nel frattempo Stoner viene promosso nella sua carriera di docente, ma fin da subito dimostra incapacità e rifiuto nel districarsi nei meccanismi del potere accademico. In particolare si scontra col potente professore Hollis Lomax, che farà di tutto per ostacolarlo nel suo percorso universitario, con Stoner che reagisce con la sua consueta passività e rifiuto del conflitto e della competizione.
Poi, improvvisamente Stoner vive il periodo più felice della sua vita. Si innamora di una giovane collega Katherine Driscoll e i due intraprendono una relazione profonda. Ma Lomax, paventando uno scandalo (Stoner è ancora sposato) nell’America perbenista, costringe Katherine a trasferirsi e a mettere fine alla storia d’amore: i due non si vedranno mai più.
Gli anni passano e Stoner invecchia. La figlia Grace, sposatasi molto giovane, perde il marito nella Seconda Guerra Mondiale e si rifugia nell’alcolismo. I rapporti con la moglie sono inesistenti: conflittuali da parte di lei, senza alcuna reazione da parte di Stoner. Poco prima della pensione Stoner scopre di avere un tumore ed è costretto a lasciare immediatamente l’Università.
Nelle ultime pagine, prima della sua morte, Stoner riflette sulla sua vita, sui suoi fallimenti, e sembra trovare una consolazione nell’amore che ha sempre riversato sulla letteratura e sui libri, un giusto motivo per essere vissuti. Le ultime parole del libro ci mostrano Stoner che muore toccando una copia del suo primo libro pubblicato, la morte fa perdere la presa alle sue dita e il libro cade a terra.
Dalla trama delineata, emerge come si stia parlando di un romanzo dalle tematiche inattuali. Pur essendo uno spaccato della vita della provincia americana in un tempo ben circoscritto, con tanto di collocazione storica ed eventi sullo sfondo, “Stoner” quando esce, nel 1965, è alieno ai valori della sua contemporaneità. Non si allinea alla competitività sociale portata avanti dal capitalismo imperante, ma non ha neanche lo spirito di rivolta e di lotta che animava gli antagonisti di quel modello. Ma possiamo dire di più: Stoner non rispecchia il modello del self made man, dell’ottimismo genetico, del positivismo e dell’affermazione personale che fanno da sfondo al mood americano e a quello che dovrebbe essere il grande romanzo americano. Forse Stoner è più un romanzo europeo che americano. Il romanzo si interroga su alcune domande di fondo, fra tutte “Qual è il senso della vita?”, presentandosi quindi come un romanzo esistenzialista. Tuttavia la sua forma classica e lineare nello stile e nella struttura, si scontrava nel 1965 con le avanguardie europee.
Forse ora riusciamo a dare delle spiegazioni sul perché il romanzo nel 1965 passò inosservato, fu presto introvabile, e rimase sconosciuto in Europa.Poi avvenne la seconda nascita del romanzo “Stoner” di John Williams. Siamo nel 2003 (9 anni dopo la morte dell’autore) e Edwin Frank, direttore editoriale di New York Review Books Classics, decide di ripubblicarlo.
Frank racconterà che aveva sempre sentito parlare del libro da una ristretta cerchia di cultori, ma un giorno un vecchio libraio di Manhattan lo costrinse quasi a portarsi a casa una copia. Frank divorò il libro in una notte e ne rimase folgorato. Nel 2007 una lunga recensione sul New York Times lo definì un “romanzo perfetto” e innescò una reazione a catena fra accademici, recensori, librai. Le vendite decollarono e “Stoner” raggiunse le vette della classifica. La conseguenza fu lo sbarco in Europa. Nel 2011 fu tradotto in Francia dalla celebre scrittrice francese Anna Gavalda, che divenne una promotrice del libro in tutti gli ambienti culturali ed editoriali francesi. Il domino era innescato: tutti gli scrittori famosi in Europa facevano a gara a tesserne le lodi, le traduzioni si susseguirono in tutti i Paesi. Il romanzo divenne un best seller fra i più venduti in Germania, Olanda, Inghilterra. In Italia uscì una bellissima edizione per Fazi Editore nel 2012, con traduzione di Stefano Tummolini e una postfazione di David Cameron. Il successo fu immediato, la copertina diventa iconica, le ristampe si susseguono, fino al settembre 2020, quando scaduti i diritti per Fazi, l’opera viene ripubblicata da Mondadori (sempre con la traduzione di Tummolini).
Oggi Stoner continua la sua vita di long seller. Possiamo definirlo un classico nella definizione calviniana “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”.
Ma perché un libro diventa un classico? Perché diventa un cult? Forse dobbiamo ricollegarci a quella definizione di inattualità di cui parlavamo prima. Stoner parla delle vicende del suo tempo senza essere ancorato al suo tempo. La nostra vita, la nostra epoca non contano. È l’inattualità che lo rende eterno. Non serva combattere, ribellarsi alle peripezie e ai personaggi che incontriamo sul nostro cammino: le cose accadono lo stesso, il tempo passa comunque. Ma la letteratura può essere eterna.
Sicuramente le tematiche affrontate sono universali e perenni: il senso della vita, l’etica del lavoro, l’importanza dell’insegnamento e la gratificazione che ne deriva, il valore della letteratura, la ricerca dell’amore e dell’amicizia. Ma il romanzo ci insegna anche a combattere il nostro egoismo, ci presenta l’arrivismo (di cui oggi soffriamo tutti) come valore negativo, ci mostra il successo personale non come apice da raggiungere ma come forma di prevaricazione sul prossimo. Il rifiuto alla lotta, alle proprie ambizioni personali, fanno di Stoner un personaggio alieno all’umanità. Forse proprio questo aspetto esercita sul lettore una funzione di specchio, si insinua nell’animo di ognuno di noi e risveglia la nostra coscienza, ci illumina una via da seguire per nasconderci dal nostro stesso egoismo e quella via non può che condurre all’interno di un libro.
Possiamo parlare, quindi, di metaletteratura, di osservazione del ruolo della letteratura attraverso un romanzo. Se dovessimo definire quel ruolo attraverso Stoner, parleremo di rifugio, che poi è il rifugio che trova Stoner stesso. E che spera di trovare anche dopo la morte.
Ecco le parole finali del romanzo: Aprì il libro, e mentre lo faceva, il libro smise di essere il suo. Lasciò correre le dita sulle pagine e sentì un fremito, come se quelle fossero vive. Il fremito gli attraversò le dita e corse lungo la carne e le ossa. Ne era profondamente cosciente e aspettò fino a sentirsene avvolto, finché l’eccitazione di un tempo, simile al terrore, non lo immobilizzò nel punto in cui era steso. La luce del sole, attraversando la finestra, brillò sulla pagina e lui non riuscì a vedere cosa c’era scritto. Le dita si allentarono e il libro che teneva si mosse piano e poi rapidamente lungo il corpo immobile, cadendo infine nel silenzio della stanza”.